sabato 22 dicembre 2007

Lions for Lambs


Lions for lambs è un film pericoloso, pericoloso per le nostre certezze.

Il film ci mette difronte alla nostra apatia, alla negligenza verso un un mondo che ci sembra sicuro. Cullati dalla nostra ricchezza, dall'apparenza di una sicurezza inviolabile, non vediamo la direzione inequivocabile che sta prendendo il mondo. I telegiornali, le notizie sulla guerra, i discorsi dei politici, ci parlano di un pericolo imminente, mentre il nostro universo di certezze è già sull'orlo del precipizio. Se anche non è già in caduta libera. Mettiamo un dito in una falla mentre la nave affonda inarrestabile. Alla fine però tiriamo un sospiro, stringiamo un po' la cinghia e proseguiamo sulla stessa strada di sempre. Si attua quel meccanismo che già esiste in natura: quando una ferita è troppo dolorosa, uno shock troppo forte, ci inizia a pervadere una paradossale sensazione di benessere che, anche se sembra salvarci dalla fine imminente, non fa altro che renderci stupidamente inconsci del pericolo. Funziona così questo gigantesco macchinario che abbiamo creato. Ci distrae, non ci imprigiona, o almeno non in una gabbia di cui possiamo vedere le sbarre. La nostra prigione assomiglia a un centro ricreativo per menti desiderose di riposo (un riposo eterno e costante). Le idee vengono sostituite da dati, statistiche, le opinioni diventano merce rischiosa, incerta e soprattutto inaffidabile. In un sistema in cui i numeri sono l'unica realtà riconosciuta ci sentiamo troppo ignoranti, troppo stupidi per dire la nostra.

Come facciamo a non accorgerci che in questo modo non stiamo semplicemente rinunciando al nostro potere individuale, ma stiamo addirittura offrendo volontariamente la nostra coscienza ad un indefinibile “pensiero comune”. Mi chiedo anche come sia possibile, se ognuno di noi delega la propria opinione a un movimento politico e al sistema mediatico, che esista davvero questo “pensiero comune”. Che non sia solo un'altra merce da vendere al migliore offerente. Se il terrorismo ci minaccia allora appoggiamo una guerra che protegga il nostro stile di vita, ma se quella stessa guerra ci inizia ad angosciare, se è la guerra a diventare il pericolo più prossimo al nostro nido allora il “pensiero comune” si vende al pacifismo: tutto piuttosto che delegare. Non prendiamo più nessuna decisione, semplicemente, scegliamo chi la prenderà per noi.

Non sono un sedicenne idealista, convinto che scendere in piazza significhi molto per il mondo, ma non voglio neanche diventare un quarantenne depresso che pensa a ciò che avrebbe potuto se fosse stato ancora giovane.

Quindi scrivo, racconto quello che mi passa per la testa, do la mia opinione su fatti da cui vengo escluso per insufficienza di credibilità, rivendico il mio diritto inalienabile ad avere una coscienza.


(Ho cominciato a scrivere pensando di parlarvi del film, ma sono finito a discutere di tutt'altra cosa, ma forse anche questo è, un po', riconquistarsi le proprie idee)

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