giovedì 19 giugno 2008

False apparenze


Il bar, in cui di lì a poco sarebbe entrato Samuel, era un classico locale americano. Fra i tavoli si aggiravano, operose come tante formiche, cameriere armate di taccuino per le ordinazioni e grossi bricchi di caffè tiepido e insapore. Fuori intanto, in contrasto con il calore compresso del posto, un temporale di inaudita violenza spazzava le strade della città.Un uomo attraversò di corsa la strada davanti al locale. Aveva grandi occhi castani, una peluria sparuta sulle labbra e capelli (pochi) pettinati avanti in modo da mascherare la calvizie. Entrato nel locale si scrollò come fosse un grosso sanbernardo, di cui effettivamente aveva la stazza, e con mosse un po’ goffe si era tolto il soprabito. Una rapida occhiata in giro lo convinse che il bar era pieno. Stava per imboccare di nuovo la porta e infilare il cappotto, quando vide un uomo col capo chino, solo ad un tavolino, che guardava dentro la sua tazza, come se vi cercasse dentro una risposta all'esistenza umana. Sfoggiando uno dei suoi più caldi sorrisi Samuel si avvicinò allo sconosciuto.
-Potrei sedermi vicino a lei…sa il locale è pieno come un uovo, ma ho sentito dire che fanno uno splendido caffè, sa potremmo…-
L’uomo, intanto, aveva portato la tazza alle labbra con un gesto elegante. Ora che lo osservava con attenzione, Samuel s’accorse come la mano o il piede o le dita compissero ogni gesto in maniera perfetta e che, tutto il corpo e perfino i neri capelli, si muovessero al ritmo di un’inaudibile musica. Mandata giù una lunga sorsata, l’uomo fece segno al giovane di sedere dopodiché riprese a scrutare il nero contenuto della tazza. Samuel si sedette facendo scricchiolare la sedia e iniziò a fissare il suo “ospite” con malcelata curiosità. L'uomo portava una giacca nera e aveva ancora addosso un soprabito del medesimo colore. I capelli corvini erano attaccati al cranio da tonnellate di gelatina e un pizzetto da capra gli spuntava da sotto il mento. Gli abiti che indossava, seppur di ottima fattura, avevano le maniche lise e un taglio terribilmente fuori moda.
“Povero diavolo” pensò Samuel “considerati i suoi modi eleganti e le sue buone maniere deve essere stato una persona importante che attraversa un brutto periodo di crisi”
Intanto una cameriera s’era avvicinata al tavolino per prendere le ordinazioni.
-Desidera?- Fece svogliatamente masticando una gomma.
-Un caffè, grazie Zucchero- disse Samuel e assunse un’aria da playboy che ben poco s’attagliava alla sua persona goffa e sgraziata.
-C'hai detto che ce voi lo zucchero?- fece quella con aria confusa
-Si, si con zucchero grazie- Rispose imbarazzato Samuel arrossendo fino all’attaccatura dei capelli.
Quando la cameriera si fu allontanata, strizzò l’occhio all’uomo che aveva di fronte, e tentando di avviare una conversazione con quel taciturno disse
–Mi sembra di aver fatto colpo che ne dice?-
Un mugugno fu l’unico segno che gli venne concesso in risposta. Intanto i neri occhi del suo ospite iniziarono a vagare di qua e di là nel vano sforzo di far desistere il ragazzo dal suo tentativo di socializzare.
–Ha preso una cioccolata vedo- insisté invece quello –Io sono più tipo da caffè, ma devo ammettere che la cioccolata è proprio una bevanda...diabolica: più ne bevi più ne vuoi!-
Nessuna reazione. Mentre rifletteva su quanto fosse sgarbato, o timido, il suo compagno, un'odore pungente fece storcere il grosso naso di Samuel
–Sente anche lei quest’odore di uova marce? Speriamo non servano roba andata a male perché da bambino sono stato colpito da una…-
Il ragazzo proseguì a parlare con una fastidiosa voce cantilenante e nasale. L’uomo in nero era ormai al limite dell’umana sopportazione quando tornò al tavolo la cameriera. Samuel riassunse quella che doveva credere una sexy e, stava per iniziare ad attaccar bottone, quando quella versò per errore (o per raggiunto limite di sopportazione) il caffè bollente fra le gambe del latin lover da quattro soldi.
–Ma porco D...!- Samuel trattenne la bestemmia che gli era sorta spontanea non appena vide uno strano lampo negli occhi del suo vicino –Scusi davvero, ma era cocente!-.
Un sorriso ferino affiorò sulle labbra dell'uomo che, per la prima volta, parlò con voce calda e profonda –No non si preoccupi, non sono suscettibile a certe cose-
Intanto la svampita cameriera si stava adoperando per riparare al danno con dei fazzolettini mentre Samuel non faceva che ripetergli di non preoccuparsi. Mentre la ragazza tornava al bancone per prendere dell’altro caffè l’uomo in nero si sporse sul tavolino e, con un sorriso che gli tagliava in due il volto, disse –Lei è curioso di sapere chi sono vero?-
-Per la verità sì- rispose eccitato come una scolaretta.
-Allora la accontenterò…sono il Diavolo!-sussurrò con studiato distacco.
Samuel sorrise per un po’ con aria ebete e poi si sporse a sua volta attraverso il tavolo fin quasi a toccare il viso dell Signore delle tenebre –Fantastico e com’è laggiù il clima?-
Belzebù un po’ interdetto dalla mancanza di reazioni del ragazzo insorse –No guardi che non scherzo mica io sono davvero il Diavolo!-
-Si ho capito! Difatti, quando le ho chiesto com’è il clima lì giù, intendevo all’inferno-
-Ma…ma- Provò a rispondere il Duce dell’averno con aria sconfortata.
-Tra l’altro mi sono sempre chiesto se è vero che voi demoni potete volare e se vi cibate del sangue umano…o quelli erano i vampiri?-
Il viso del diavolo parve sciogliersi come fosse fatto di cera e poi, il 666 proruppe in un pianto straziato.
Tra un singhiozzo e un altro iniziò a lamentarsi –Come è possibile che neanche lei, Samuel, abbia paura di me!- trattenne per un po’ il fiato pieno di aspettativa e poi riprese – non si è neanche stupito che so il suo nome-
-E' solo che è una cosa che riesce a fare il più stupido dei telefonini- disse il ragazzo per niente impressionato.
In risposta al commento del giovane Satana prese a singhiozzare ancora più rumorosamente –Vede, come posso competere con tali mostruosità. Ieri ho acceso la televisione e ho sentito di un capo di stato che farà passare una legge per chiudere i suoi processi...davvero come posso competere?- sospirò –Non c’è più posto per me! Sono passato di moda…si rende conto che voi umani riuscite a inventare torture molto più efficaci di qualunque io abbia all’inferno? Prenda la ceretta o il filetto del tanga!- Prese fiato e poi ancora –Per non parlare dei vostri avvocati- rabbrividì –Diabolici!-
-E i bambini…non hanno più paura di nulla…Ieri una dodicenne mi ha tirato un calcio mentre tentavo di portarla giù all’inferno strillando che non potevo essere la morte visto che non assomiglio neanche un po’ a Brad Pitt in “ti presento Joe Black”-
Samuel con lo sguardo colmo di compassione spostò i suoi 90 chili dalla sua sedia a quella accanto a Satana –Non se la prenda, sa, ora che ci penso, un po’ paura me l’ha messa prima-
-Compassione…sono giunto fino a questo punto? Mi lasci solo per piacere-
Samuel che aveva portato una mano sulla spalla del diavolo la scostò e si alzò.
-Non si abbatta vedrà che andrà meglio è stato un piacere fare la sua conoscenza- e Satana udite parole tanto gioviali ripiombò nella disperazione.
Dopo qualche minuto, da che Samuel era uscito dal locale, il signore dei dannati si alzò dal tavolo, si avvicinò al bancone e infilò una mano nel soprabito per prendere il portafoglio.
Nulla.
Cercò nella tasca interna, in quelle dei pantaloni, si tastò dappertutto e poi con pensieri di fuoco per colui che l’aveva derubato, che aveva anche finto di consolarlo e s'era preso per tutto quel tempo gioco di lui gridò
-Non c’è proprio più religione!!!-

domenica 2 marzo 2008

Capitolo III: Un'ombra dal passato


Roma, 13 gennaio 1998

-Barletta che ti avevo detto che mi servivano per l'una, ma non l'una di notte!-
-Non sono stato a girarmi i pollici, ho dovuto fare da balia al nuovo acquisto. Non so cosa si aspettava facessimo in questo commissariato del cazzo, ma deve aver ricevuto un brutto colpo quando ha scoperto che non avevamo in dotazione un F16-
Barletta era grande come un toro e, al contrario di molti tipi grossi, invecchiando non era ingrassato, né era diventato goffo. Continuava ad uscire di pattuglia a quarant'anni ed era un po' il “sergente istruttore” del commissariato. Si dondolò sul posto come un bambinone e sorrise come un lupo al maresciallo.
-Senti Roberto, io ti voglio bene, ci conosciamo da una vita, ma se non mi fai avere i documenti che ti ho chiesto entro oggi pomeriggio per tutto il prossimo mese ti faccio uscire di pattuglia con quella palla al piede di Prete-
Barletta trattenne a stento le risate e, rivolto al superiore, con un ghigno un po' malefico.
-Scusi Maresciallo, ma chi dovrebbe essere sto prete?-
-Il novellino Barletta, il novellino!-
-Ah non sapevo che ora l'arma arruolasse uomini di chiesa. Ma magari lei si riferiva al carabiniere Abate...signore-
Il maresciallo si morse la lingua per non scoppiare a ridere appresso al suo sottoposto.
-Se spendessi meno tempo a fare l'idiota con me saresti generale Roberto!-
-Anche tu potevi esserlo Meo-
Ricceri si rabbuiò e torno immediatamente serio
-Va bene Barletta... si ricordi di portarmi quei documenti e dì a Prete, Vescovo o come diavolo si chiama di andare a prendere la macchina: stasera mi serve come autista-
Barletta s'accorse di aver detto una parola di troppo
-Meo...Maresciallo, se le serve un autista posso venire io-
-No Roberto, vai a cena a casa e, mi raccomando, salutami Giulia-

Rimase solo nel suo ufficio, di fronte a una scrivania ricolma di verbali accatastati in pile sbilenche, tante riproduzioni della torre di Pisa. Guardò le “torrette” percorso dal desiderio ribelle di spingerle giù dal tavolo, di liberarsi il un colpo di tutte le vuote formalità del suo lavoro. Vagliò con attenzione la possibilità di farlo sul serio, poi si alzò sbuffando e prese dall'attaccapanni il cappotto.
-Barletta io me ne vado a casa se ci sono problemi...non chiamarmi e vedi di cavartela da solo!- poi poco prima di sbattersi la porta alle spalle -E ricorda ad Abate della macchina, che si faccia trovare alle otto da me!-

Ricceri posò il Montgomery sulla poltrona in salone, buttò le chiavi in una ciotola sul tavolinetto e fece partire la segreteria mentre, in precario equilibrio, saltellando su una gamba, si sfilava le scarpe.
"biiiiiiip: Ciao Bart, sono Livia spero che non ti sia dimenticato di sabato, non vedi Irene da tre settimane poi non lamentarti se, quando state insieme, sembra gli abbiano piazzato un palo nel..."
"biiiiiiip: Ciao Meo sono Bartoli volevo ricordarti di stasera e chiederti di far entrare di contrabbando dell'alcol. Quella sadica della mia infermiera ha deciso di farmi diventare astemio!"
"biiiiiiip: Signor Bartolomeo chiamo per conto del dottor Martelli per volevo avvertirla che il professore non potrà essere presente alla prossima seduta, ma che se non ha nulla in contrario sarà seguito da un suo collega"
Una scarpa volò attraverso il salone impattando contro un vaso poggiato su di un tavolino.
-Fanculo!-
Si chinò a raccogliere i cocci. In ginocchio accanto al tavolino accese la televisione col gomito. La stanza buia venne illuminata debolmente.

Viveva nella casa dei genitori da quando Livia l'aveva lasciato, una casa enorme e semivuota in cui l'eco ti rincorreva da una stanza all'altra, inseguito dai fantasmi del passato.
Chiuse gli occhi per un attimo, gli parve di sentire l'odore dei toscanelli del padre: per sempre intrappolato nelle trame della tappezzeria dei divani.
Fuggì da se stesso portato a braccio dal profumo dei capelli di Livia che invece era descritto in un'elica del suo DNA, immutato, inalterabile, fatale. E poi con la stessa nostalgica tristezza provò ad afferrare il profumo di Irene che però, inesorabilmente, gli sfuggiva.

Era ancora chino, avviluppato dai ricordi, quando sentì qualcosa che gli fece lo stesso effetto di una scarica da 6000 watt. Alzò il volume del televisore.
"A breve la nostra penisola verrà investita da un fronte freddo..."
Ricceri si avvicinò allo schermo allungando una mano fin quasi a toccare il fiocco di neve disegnato sul Lazio.
Rimase lì anche quando la pubblicità interruppe le previsioni del tempo e, dopo qualche minuto di terribile immobilità, parlò alla stanza vuota con la voce rotta e l'espressione folle di un fanatico
-Lo farà di nuovo- quasi scoppiò a ridere -ucciderà ancora-
una lacrima gli scivolò su una guancia.

venerdì 1 febbraio 2008

Capitolo II: La maschera di Dimitrios



Roma, gennaio 1985


Ricceri Organizzò la squadra per pattugliare la zona, mise Serpieri al comando di dieci uomini per raccogliere le testimonianze dei vicini e, insieme al suo vice, Barletta, andò a interrogare la donna che aveva chiamato la polizia.

Nel frattempo erano arrivati sul campo il colonnello Gargano e il maggiore Palizzi: la storia aveva schiodato dalle loro poltrone i pezzi grossi, il che voleva dire che avevano poco tempo prima che la stampa si avventasse sul caso alzando un polverone grazie al quale il colpevole sarebbe sfuggito.

Insieme a Barletta, un omone di quasi due metri, entrarono nell'appartamento della signora Berlocchi. Il sole era già calato lasciando solo una scia rosso sangue sull'orizzonte romano.

Trovarono la donna in cucina che serviva il pranzo a due bambini, indossava un grembiule su cui si puliva ossessivamente le mani, non guardava mai in faccia i bambini che comunque osservavano il piatto che avevano difronte come in attesa di una rivelazione. La Berlocchi rispose alle prime domande sbrigando le faccende di casa, come se fosse intrappolata in una spirale da cui poteva liberarsi solo portando a compimento la routine giornaliera. Poi, finito di lavare i piatti fece accomodare i due carabinieri in salotto e si accese una sigaretta.

Barletta rimase in piedi, come di guardia, mentre Ricceri si accomodò difronte alla padrona di casa.

-Signora so che è sconvolta, ma vorrei sapere se conosceva la vittima-

Lei ciccò nel posacenere con dita tremanti come le ali di una mosca, prima di rispondere con voce altrettanto tremante.

-Si chiama...si chiamava, Laura Fanelli, abita nel palazzo accanto, veniva spesso qui a giocare con Manuel e Francesco. E' una bambina tanto buona non capisco chi possa avergli fatto una cosa del genere-

-Come le diceva prima il mio vice, siamo qui per sapere esattamente cosa ha visto quando ha trovato il corpo della bambina...qualunque cosa ricordi può esserci d'aiuto-

La signora rivolse a Bartolomeo un'occhiata penosa.

-Ma non sono stata io a trovare il...sì...il corpo!-

Barletta e Ricceri si guardarono stupiti

-Ci scusi, ma allora come faceva a sapere della bambina?-

-Sono stati loro a vederlo per primi-E indicò i bambini nell'altra stanza -Stavano giocando nel parco quando hanno visto...si...il corpo-

Ricceri sentì un peso enorme piazzarglisi sullo stomaco

-Signora allora dovremmo fare a loro le domande...con il suo permesso naturalmente-

La donna venne percorsa da un brivido, gli occhi si riempirono di lacrime trattenute. Tormentandosi un'unghia dipinta di rosso rispose guardando per terra.

-Non hanno parlato più da quando è successo...ci ho provato a chiedergli qualcosa, ma non mi stanno a sentire-

Barletta posò una manona gentile sulla spalla della donna ottenendo come unico risultato la somma di violenti singhiozzi al pianto già straziante della madre.

Fu quando la signora si aggrappò al braccio del mio vice che rientrò in casa il marito della Berlocchi...fu la prima volta che Ricceri vide in faccia l'assassino della piccola Laura.

giovedì 24 gennaio 2008

Capitolo I: In un tempo freddo e oscuro



(pubblicherò più o meno una pagina alla settimana del mio racconto lungo...mi scuso se a volte non riuscirò a concludere degnamente ogni parte, ma...lavoro per voi ; )


Roma, gennaio 1985


Un capannone scuro e solitario sorgeva in mezzo al campo innevato, piegato su un lato dal vento, gridando, ad ogni nuova folata, con la voce stridula di una donna arrabbiata. La neve tutto intorno era sporca, macchiata di smog e fango, ma era pur sempre neve.

-Mai vista neve a Roma!-

Il Maresciallo Antonini sputò fuori le parole con il fumo della sigaretta, pentendosi in un momento d'aver lasciato nell'auto la sciarpa e il berretto.

Il Brigadiere Capo Bartolomeo Ricceri, che gli camminava accanto, sorrise e guardò verso la strada lontana, uno schizzo nero in quel candore sporco. La città non era ancora arrivata fin lì; Casal dei Pazzi somigliava ancora al posto in cui era cresciuto, fatta eccezione per quel palazzone solo e brutto di Via Lagostina.

Ricceri e il Maresciallo non erano arrivati sul posto che alle quattro del pomeriggio, ma la denuncia del ritrovamento era stata fatta subito dopo l'ora di pranzo. Aveva chiamato una signora, tanto agitata da mettere il pepe al culo anche al centralinista che era schizzato su come un tappo di spumante e aveva fatto rapporto al capitano con gli occhi spiritati di chi si è appena imbattuto in un fantasma. Avevano subito avvertito il comando di zona e la scientifica, ma la nevicata aveva bloccato la maggior parte delle strade.

Il Maresciallo e il Brigadiere non erano arrivati che al tramonto.


Oltrepassarono il cordone attorno al capanno. Gli scarponi che scricchiolavano sulla neve erano l'unico suono nel parco, i carabinieri, schierati attorno al luogo del delitto, stavano insolitamente in silenzio, davano le spalle all'aria recintata, pallidi come lenzuoli.


Lei era distesa nella neve, le labbra blu, i capelli biondi incrostati di ghiaccio, due profondi tagli sulle orbite, il corpicino rannicchiato su se stesso come un micio addormentato.


Ricceri corse fuori dal cordone, si inginocchiò nella neve e fu scosso da un conato. Il Maresciallo gli si avvicinò da dietro e gli porse un fazzoletto.

-Hai una figlia Meo-

Era un'affermazione, ma il brigadiere si ripulì le labbra e rispose lo stesso.

-Si chiama Maria signore- un altro conato -ha cinque anni-

-Ritornatene alla macchina allora. Serpieri e Barletta stanno arrivando, se ne occuperanno loro-

Bartolomeo si rialzò tremando

-Signore, se permette vorrei poter seguire il caso. Proprio perché sono un padre è una cosa che devo fare-

-Non c'è bisogno, Meo. Abbiamo già abbastanza uomini-

Il brigadiere si scosse e guardò dritto negli occhi il superiore

-Pietro sai che, semplicemente, non posso restarne fuori-


Tornarono insieme allo spiazzo davanti il capanno.

Il medico legale era piegato sul cadavere, di solito impassibile e freddamente efficiente, questa volta pareva, invece, visibilmente scosso. Quando il maresciallo gli chiese un rapporto preliminare quello lo sommerse di informazioni, come se l'analisi scientifica dell'accaduto lo rendesse meno cruento, meno agghiacciante, meno animale.

-La vittima non è stata ancora identificata, ma a occhio e croce dovrebbe avere sui dieci anni. La causa del decesso, come attestano i lividi intorno alla gola, è il soffocamento, è stata strangolata a mani nude, ma l'ora del decesso sarà difficile da accertare considerato che il corpo è rimasto per molto tempo nella neve. Le incisioni agli occhi sono sicuramente post mortem- il medico sembrò ancora più a disagio. Con una stecca di legno aprì la bocca della bambina.-dentro la cavità orale è stato incastrato uno straccio. Anche questo deve essere stato fatto a morte già avvenuta e...ci sono anche segni di violenza-


Il Maresciallo e Ricceri si allontanarono

-Cosa ne pensi Meo?-

-Penso che il pedofilo l'abbia uccisa per paura di essere beccato e che probabilmente e stato il suo primo crimine. Gli ha cavato gli occhi e tappato, letteralmente, la bocca. Forse per esorcizzare la possibilità che lei ci rivelasse qualcosa di lui, o forse si vergognava e non voleva essere visto dalla sua vittima, magari ha dei figli e si sente in colpa, magari è un dannato psicopatico-

Il maresciallo lo fulminò con uno sguardo, poi con il tono più imperioso possibile ordinò:

- Avverti la squadra di controllare palmo a palmo la zona, poi di interrogare il vicinato. Vorrei anche che parlassi con chi ha trovato il corpo e fammi sapere a chi appartiene il capanno e per cosa lo utilizza- poi con un tono più caldo -Meo, sono ancora disposto a dare il caso a qualcun altro. Pensaci bene-

Il brigadiere si mise sull'attenti, pronto a eseguire gli ordini.