domenica 2 marzo 2008

Capitolo III: Un'ombra dal passato


Roma, 13 gennaio 1998

-Barletta che ti avevo detto che mi servivano per l'una, ma non l'una di notte!-
-Non sono stato a girarmi i pollici, ho dovuto fare da balia al nuovo acquisto. Non so cosa si aspettava facessimo in questo commissariato del cazzo, ma deve aver ricevuto un brutto colpo quando ha scoperto che non avevamo in dotazione un F16-
Barletta era grande come un toro e, al contrario di molti tipi grossi, invecchiando non era ingrassato, né era diventato goffo. Continuava ad uscire di pattuglia a quarant'anni ed era un po' il “sergente istruttore” del commissariato. Si dondolò sul posto come un bambinone e sorrise come un lupo al maresciallo.
-Senti Roberto, io ti voglio bene, ci conosciamo da una vita, ma se non mi fai avere i documenti che ti ho chiesto entro oggi pomeriggio per tutto il prossimo mese ti faccio uscire di pattuglia con quella palla al piede di Prete-
Barletta trattenne a stento le risate e, rivolto al superiore, con un ghigno un po' malefico.
-Scusi Maresciallo, ma chi dovrebbe essere sto prete?-
-Il novellino Barletta, il novellino!-
-Ah non sapevo che ora l'arma arruolasse uomini di chiesa. Ma magari lei si riferiva al carabiniere Abate...signore-
Il maresciallo si morse la lingua per non scoppiare a ridere appresso al suo sottoposto.
-Se spendessi meno tempo a fare l'idiota con me saresti generale Roberto!-
-Anche tu potevi esserlo Meo-
Ricceri si rabbuiò e torno immediatamente serio
-Va bene Barletta... si ricordi di portarmi quei documenti e dì a Prete, Vescovo o come diavolo si chiama di andare a prendere la macchina: stasera mi serve come autista-
Barletta s'accorse di aver detto una parola di troppo
-Meo...Maresciallo, se le serve un autista posso venire io-
-No Roberto, vai a cena a casa e, mi raccomando, salutami Giulia-

Rimase solo nel suo ufficio, di fronte a una scrivania ricolma di verbali accatastati in pile sbilenche, tante riproduzioni della torre di Pisa. Guardò le “torrette” percorso dal desiderio ribelle di spingerle giù dal tavolo, di liberarsi il un colpo di tutte le vuote formalità del suo lavoro. Vagliò con attenzione la possibilità di farlo sul serio, poi si alzò sbuffando e prese dall'attaccapanni il cappotto.
-Barletta io me ne vado a casa se ci sono problemi...non chiamarmi e vedi di cavartela da solo!- poi poco prima di sbattersi la porta alle spalle -E ricorda ad Abate della macchina, che si faccia trovare alle otto da me!-

Ricceri posò il Montgomery sulla poltrona in salone, buttò le chiavi in una ciotola sul tavolinetto e fece partire la segreteria mentre, in precario equilibrio, saltellando su una gamba, si sfilava le scarpe.
"biiiiiiip: Ciao Bart, sono Livia spero che non ti sia dimenticato di sabato, non vedi Irene da tre settimane poi non lamentarti se, quando state insieme, sembra gli abbiano piazzato un palo nel..."
"biiiiiiip: Ciao Meo sono Bartoli volevo ricordarti di stasera e chiederti di far entrare di contrabbando dell'alcol. Quella sadica della mia infermiera ha deciso di farmi diventare astemio!"
"biiiiiiip: Signor Bartolomeo chiamo per conto del dottor Martelli per volevo avvertirla che il professore non potrà essere presente alla prossima seduta, ma che se non ha nulla in contrario sarà seguito da un suo collega"
Una scarpa volò attraverso il salone impattando contro un vaso poggiato su di un tavolino.
-Fanculo!-
Si chinò a raccogliere i cocci. In ginocchio accanto al tavolino accese la televisione col gomito. La stanza buia venne illuminata debolmente.

Viveva nella casa dei genitori da quando Livia l'aveva lasciato, una casa enorme e semivuota in cui l'eco ti rincorreva da una stanza all'altra, inseguito dai fantasmi del passato.
Chiuse gli occhi per un attimo, gli parve di sentire l'odore dei toscanelli del padre: per sempre intrappolato nelle trame della tappezzeria dei divani.
Fuggì da se stesso portato a braccio dal profumo dei capelli di Livia che invece era descritto in un'elica del suo DNA, immutato, inalterabile, fatale. E poi con la stessa nostalgica tristezza provò ad afferrare il profumo di Irene che però, inesorabilmente, gli sfuggiva.

Era ancora chino, avviluppato dai ricordi, quando sentì qualcosa che gli fece lo stesso effetto di una scarica da 6000 watt. Alzò il volume del televisore.
"A breve la nostra penisola verrà investita da un fronte freddo..."
Ricceri si avvicinò allo schermo allungando una mano fin quasi a toccare il fiocco di neve disegnato sul Lazio.
Rimase lì anche quando la pubblicità interruppe le previsioni del tempo e, dopo qualche minuto di terribile immobilità, parlò alla stanza vuota con la voce rotta e l'espressione folle di un fanatico
-Lo farà di nuovo- quasi scoppiò a ridere -ucciderà ancora-
una lacrima gli scivolò su una guancia.